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Eike Schmidt, nato a Friburgo in Germania nel 1968, dal 2015 è direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze. È stato confermato lo scorso ottobre

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Eike Schmidt, nato a Friburgo in Germania nel 1968, dal 2015 è direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze. È stato confermato lo scorso ottobre

L’orgoglio di esserci di nuovo. Schmidt | Uffizi

ARTPRIDE | L’abissale differenza tra visione diretta e virtuale

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Redazione GDA

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Alcune delle opere d’arte più famose al mondo (e considerate ancor più inestimabili rispetto ad altri capolavori) devono parte della loro fama straordinaria e della loro reputazione al fatto di esser state oggetto di sottrazioni e restituzioni: dunque, almeno per un certo periodo di tempo, «assenti» e materialmente inaccessibili. Così è successo alla Gioconda, che, rubata nel 1911, due anni dopo tornò al Louvre in trionfo, da quel momento superando, per la venerazione tributata, tutti gli altri quadri di Leonardo.

Lo stesso fenomeno si è osservato per la Saliera di Benvenuto Cellini, celebre tra gli specialisti e ben nota alle persone di cultura già prima del furto avvenuto nel 2003 ma, dal momento del suo ricupero tre anni più tardi, divenuta vera icona e capolavoro indiscusso del Kunsthistorisches Museum di Vienna anche per il pubblico meno vicino all’arte e alla storia. In maniera analoga, i monumenti, le chiese, i musei e le collezioni sopravvissuti alle guerre hanno sempre riscontrato una stima e, vorrei dire, un affetto particolari nei periodi postbellici, come se il rischio di perderli completamente avesse risvegliato nel cuore e nella mente della gente il valore umano, collettivo e culturale di questi tesori.

In questo periodo di crisi epidemiologica, la preoccupazione era e continua a essere certo per le persone e non tanto per le opere. Tuttavia la chiusura radicale della vita pubblica stabilita in Italia l’8 marzo scorso ha limitato per circa tre mesi le nostre esperienze esterne a forme mediatiche e digitali di comunicazione di massa. Si è fatto di necessità virtù, perché questa limitazione non solo ha impresso una forte spinta alla digitalizzazione del patrimonio culturale, ma soprattutto ha fatto sì che l’offerta delle istituzioni, specie quelle museali, su web e social in genere, non sia più concepita come mera attività aggiuntiva e pubblicitaria, volta a promuovere la visita all’evento in loco o alle collezioni. Si è insomma compreso il potenziale del web di rendere accessibili, interpretare e comunicare il nostro patrimonio a un pubblico differenziato, bambini e adolescenti inclusi, e non solo agli esperti (per le cui ricerche sono utili più che altro le banche dati offerte sui siti).

D’altro canto le porte sbarrate dei musei e dei teatri hanno evidenziato la fondamentale differenza tra l’incontro diretto con un’opera d’arte e la sua accessibilità derivata e mediaticamente trasformata su un libro, sul piccolo schermo del telefono, su quello più grande della televisione, o addirittura grazie agli occhialoni da immersione subacquea della realtà virtuale. Questa differenza rimane abissale, malgrado il progresso nella resa anche tridimensionale e nei particolari più microscopici dei dipinti e delle sculture: non si tratta infatti di una questione tecnologica, ma fondamentalmente sociale.

Ecco perché la riapertura dei musei ha fin da subito attratto persone assetate d’arte e molti neofiti, mentre per paradosso il distanziamento sociale sta favorendo il turismo di prossimità. Ed ecco perché molti che vivono vicino ai musei e per anni non vi sono tornati, magari pensando che essi siano comunque sempre disponibili e che la visita non costituisse una priorità nella loro vita, ora sentono il bisogno di «riappropriarsi» delle bellezze della loro città. Ecco anche perché in questo periodo nelle sale dei musei vediamo soprattutto coppie, famiglie, gruppi di amici, più numerosi non solo rispetto alle carovane di comitive di recente memoria (che per motivi evidenti non sono ancora tornate) ma anche alle monadi di appassionati e studiosi separati tra di loro. È la funzione civica dell’arte e dei musei che sta riprendendo in queste prime settimane di riapertura.

Ma c’è di più: in un momento in cui le condizioni di distanziamento tra le persone impediscono le esperienze culturali di carattere, per così dire, dionisiaco (per forza mancano i concerti rock, quelli di musica lirica e sinfonica sono fortemente mutilati, eccetera), I’osservazione apollinea, addirittura pertrarchesca, il raccoglimento del museo (il luogo del sapere forse più congeniale in questo momento storico) assumono un carattere d’elezione e finanche consolatorio nella nostra vita recuperata.

L’orgoglio di esserci di nuovo. Bradburne | Brera
L’orgoglio di esserci di nuovo. Piotrovskij | Ermitage
L’orgoglio di esserci di nuovo. Martinez | Louvre
L'orgoglio di esserci di nuovo. Falomir | Prado
L'orgoglio di esserci di nuovo. Bradburne | Brera |  2
L'orgoglio di esserci di nuovo. Schmidt | Uffizi
L'orgoglio di esserci di nuovo. Jatta | Vaticani

Redazione GDA, 29 giugno 2020 | © Riproduzione riservata

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